VERITA' E FALSITA' NELLE APPARIZIONI MARIANE E ARTICOLI SULLA BEATA VERGINE MARIA.

martedì 23 aprile 2019

AVVENTO 32: LA CELEBRAZIONE DEL SANTO NATALE

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Natività secondo la carne del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo

Autore:
Pagani, Roberto
Fonte:
CulturaCattolica.it
“E’ facile e anche privo di pericolo accontentarci del silenzio per timore, mentre è cosa difficile intessere per amore, o Vergine, inni di ardente fervore. Donaci dunque o Madre una forza adeguata all’intenzione”.
Questo tropario del canone composto da san Giovanni Damasceno ci consente di calibrare come meglio non si potrebbe l’atteggiamento con cui accostarsi alla contemplazione della Natività secondo la carne del Signore, Dio e Salvatore nostro, Gesù Cristo.
I primi indizi della celebrazione del Natale si trovano in Clemente di Alessandria che, attorno al 200, riferisce che alcuni egiziani commemorano la nascita di Cristo il 20 maggio. Nella prima metà del IV° secolo, le costituzioni della chiesa di Alessandria stabiliscono che il 6 gennaio si deve celebrare contemporaneamente la festa della Natività e della Epifania (Battesimo) di Cristo. Attraverso alcune omelie di san Gregorio di Nissa, noi sappiamo che nel 380 i fedeli di Cappadocia celebravano il Natale il 25 dicembre, mentre l’Epifania continuava ad essere celebrata il 6 gennaio. Sappiamo anche che, fino al 385, la festa del Natale non era celebrata a Gerusalemme: nella Città Santa continuerà ad essere ignorata fino agli inizi del VI° secolo. Nel 386 la celebrazione del Natale fu introdotta ad Antiochia da san Giovanni Crisostomo, e attraverso di lui la festa giunse a Costantinopoli tra il 398 e il 402.
A Roma invece il Natale era celebrato sin dal 354. Pur tuttavia aveva ancora un carattere prevalentemente locale se il concilio spagnolo di Saragozza del 380 lo ignora completamente e sant’Agostino, nel V° secolo, omette il Natale da una lista delle feste principali da lui stesso compilata.
Poco a poco, il Natale celebrato il 25 dicembre si impose in tutta la cristianità. Secondo gli storici della liturgia, è più che plausibile il fatto che la Chiesa abbia voluto adattare e “cristianizzare” alcune feste pagane che si celebravano in quel periodo, in particolare la festa del sole invitto (coincidente con il solstizio invernale). I Padri della Chiesa, san Cipriano in particolare, dichiarano che questa festa dell’invitto trova il suo vero compimento nella nascita di Gesù, il solo invitto e il sole di giustizia.
Anche se le scoperte di Qumran hanno aperto nuove piste di ricerca, approfondire ulteriormente il perché la tradizione della Chiesa abbia fissato la festa del Natale il 25 dicembre ci porterebbe lontano. Sta di fatto che nella liturgia bizantina, il periodo che va dal 25 dicembre al 6 gennaio è polarizzato dalla festa del Natale, nella quale si fa memoria della nascita di Gesù da Maria, dei pastori che hanno contemplato il Signore e dell’adorazione dei Magi, e dalla festa della Teofania (manifestazione di Dio) nella quale si fa memoria del Battesimo di Gesù nel Giordano per opera del Battista.
Quale che sia la ragione storica, il tropario della festa ci ricollega immediatamente al tema del sole e della luce: “La tua nascita, o Cristo Dio nostro, ha fatto risplendere sul mondo la luce della conoscenza; coloro che adoravano gli astri, grazie ad una stella impararono ad adorare te, sole di giustizia, e a riconoscere in te, l’Oriente che sorge dall’alto. Signore, gloria a te!”
Nella nostra tradizione occidentale, sotto il determinante influsso francescano, il Natale assume un carattere particolare attraverso la rappresentazione popolare del presepe. La pietà sosta sull’aspetto più propriamente umano del mistero: il bambino Gesù, sua madre Maria e san Giuseppe. Nella tradizione dell’oriente cristiano, e in quella bizantina in un modo ancora più specifico, il giorno della Natività suscita la nostra attenzione, più che non sul miracolo del limitato che si fa capace dell’Illimitato, sull’incomprensibile limitazione di Colui che è senza limite, sulla sua divina filantropia (il suo amore per l’uomo).
Il celebre kontakion di Romano il Melode, ci fa cantare: “Oggi la Vergine da alla luce il Sovraessenziale, e la terra offre una grotta all’Inaccessibile: gli angeli e i pastori cantano la sua gloria, i magi camminano seguendo la stella, perché bambino è nato per noi il Dio che precede tutti i secoli”. L’ikos prosegue: “Betlemme ha aperto l’Eden, venite a vedere: nel nascondimento troviamo le delizie; venite, nella grotta riceviamo le gioie del paradiso. Là è apparsa la radice non innaffiata che fa germogliare il perdono; là si è trovato il pozzo che nessuno ha scavato, a cui Davide aveva desiderato bere; là è la Vergine che, partorito il bambino, ha estinto immediatamente la sete di Adamo e di Davide. Affrettiamoci dunque al luogo dove è bambino è nato per noi il Dio che precede tutti i secoli”.
Il contenuto dogmatico della festa fa emergere una gerarchia di valori molto precisa: prima di tutto c’è Dio nel suo movimento discendente, poi viene il miracolo della maternità verginale, risposta divina al fiat della vergine Maria che fu la condizione umana dell’Incarnazione (la creatura genera il suo Creatore), infine c’è lo scopo della Filantropia divina, la deificazione dell’uomo.
Nei vesperi, durante il Lucernario, cantiamo che “l’immagine perfetta del Padre, impronta della sua eternità, assume la forma di servo senza subire cambiamento”. Grazie a questo “tutto il creato è stato illuminato”. Solo “Erode resta turbato, perché Dio è apparso nella carne”, sovvertendo ogni potere che si autodivinizza…. “Luce da luce, riflesso del Padre, tutto il creato riceve luce da te”. Ma “cosa ti offriremo, o Cristo, per essere apparso sulla terra assumendo la nostra stessa umanità? Ogni creatura da te plasmata ti offre qualcosa per renderti grazie: gli angeli ti offrono il canto, i cieli ti offrono la stella, i magi presentano doni, i pastori il loro ingenuo stupore, la terra prepara una grotta, il deserto, invece, una greppia. E noi ti offriamo la Madre Vergine!”. E’ proprio Maria, la giovane ragazza ebrea, che rappresenta l’offerta migliore che il genere umano può fare al suo Creatore che ha deciso di venire fino a noi. E se l’editto di Cesare Augusto costrinse i popoli ad essere registrati, “noi fedeli siamo stati registrati nel Nome della tua divinità”, dando origine ad una nuova umanità.
San Giovanni Damasceno esprime una mirabile sintesi teologica negli stichirà che si cantano durante la processione rogazionale della seconda parte dell’ufficio vesperale: “Per la nascita di Cristo cielo e terra oggi si incontrano: Dio discende sulla terra e l’uomo sale nelle altezze impenetrabili. Colui che per sua natura è invisibile, per la salvezza degli uomini si lascia contemplare nella carne”. E’ una nuova creazione, perché “vedendo ormai alterato nei tratti del peccato l’uomo fatto a sua immagine, Gesù discende dai cieli ed entra nel seno di una Vergine, senza subire mutamento alcuno, per ricreare Adamo”.
San Germano, patriarca di Costantinopoli, negli stichirà che concludono i Vesperi, ci invita a contemplare Colui che è nato, e a prostrarci davanti a Lui insieme ai Magi che “venuti dall’oriente, aprono di tutto cuore i loro scrigni e offrono a Gesù doni preziosissimi: oro puro al Re dei secoli, incenso al Dio dell’universo, e mirra all’Immortale, che resterà tre giorni nel sepolcro”.
Nel Mattutino, subito dopo il canto del polyeleos (Sal 134 e 135) e il megalinario della festa durante il quale l’icona del Natale viene portata processionalmente nel centro della Chiesa venendo incensata e venerata, possiamo ascoltare una magnifica sintesi cristologica: “Colui che nessuno spazio può contenere, come ha potuto trovare spazio in un grembo? Colui che riposa nel seno del Padre, come può essere tenuto nelle braccia da una Madre? Solo Lui lo sa, e lo ha voluto, secondo il suo beneplacito. Lui che è l’Incorporeo, si è incarnato volontariamente: per noi Colui che è, è divenuto ciò che non era, e senza uscire dalla sua natura si è reso partecipe della nostra argilla. Il Cristo è nato in due nature, uomo e Dio, per completare il mondo celeste con la nostra umanità”.
Sono due i canoni che vengono cantati dopo la proclamazione della pericope evangelica (Mt. 1, 18-25): il primo, opera di san Cosma, vescovo di Maiuma, traduce in poesia ritmica gran parte dell’omelia 38 di Gregorio di Nazianzo sulla Natività, il secondo, come già detto, è opera di san Giovanni Damasceno.
Ripercorriamo ordinatamente, ode dopo ode, il primo dei due canoni, in modo da far emergere le tematiche ricorrenti. Siamo innanzitutto chiamati ad un dinamismo di risposta all’iniziativa di Dio: “Cristo nasce, glorificatelo, Cristo discende dai cieli, andategli incontro, Cristo è sulla terra, elevatevi!”. “Il Creatore, vedendo perdersi l’uomo che con le sue mani aveva plasmato, piegati i cieli, discende, e ne assume tutto il suo essere dalla Vergine divina”. “Tu che hai preso la forma dell’umile creatura fatta di fango e che, partecipando alla nostra povera carne, le hai comunicato la tua divinità, divenendo uomo e restando Dio”. “Per ubbidire al decreto di Cesare, sei stato registrato tra gli schiavi, e hai liberato noi, schiavi del nemico e del peccato, divenendo del tutto povero come noi, e divinizzando ciò che era di terra, con questa stessa unione e comunione”. Perché “Colui che il padre genera prima della stella del mattino, è avvolto in povere pezze, ma scioglie le aggrovigliate catene della morte”. “Vedo un mistero strano e portentoso: una grotta è divenuta il clielo, e la Vergine prende il posto del trono dei Cherubini; la mangiatoia è la dimora in cui è stato deposto il Cristo, colui che nulla può contenere”.
San Giovanni Damasceno collega esplicitamente il tema dell’incarnazione a quello della passione, morte e risurrezione: “O Verbo il cui splendore precede il sole, e che viene a mettere fine al peccato, la stella ti mostra ai Magi in una povera grotta, o Dio compassionevole, e nelle fasce che ti avvolgono essi, pieni di gioia, ti vedono nello stesso tempo mortale e Signore”. 
San Gregorio Nazianzeno, sempre nell’omelia 38, ci dice: “Questa è la nostra festa, questo noi oggi celebriamo: l’avvento di Dio presso gli uomini, affinché a nostra volta andiamo presso Dio, o, come è più giusto dire, risaliamo verso di Lui; affinché deponiamo l’uomo vecchio e indossiamo il nuovo, e come tutti siamo morti in Adamo, così viviamo in Cristo, nascendo ed essendo crocifissi ed essendo sepolti e risuscitando insieme con Lui”. 
“Oh, inaudita unione! Colui che arricchisce gli altri diventa mendico; Egli mendica infatti la mia carne, affinché io possa arricchire la sua divinità”. “io ebbi parte dell’immagine di Dio, eppure non la conservai: Egli allora prende parte alla mia carne sia per salvare l’immagine, sia per rendere immortale la carne”.
Adesso possiamo tranquillamente ritornare al nostro presepe, non dimenticando i suggerimenti del Nazianzeno:
“Ora accetta, ti prego, il suo concepimento e compi un balzo di gioia: anche se non fai come Giovanni, che era nel grembo materno, fai però come David, che balzò di gioia quando si fermò l’arca. Rispetta il censimento, grazie al quale anche tu sarai censito nel cielo; onora la sua generazione, grazie alla quale sei stato liberato dalle catene della generazione; onora la piccola Betlemme, che ti ha fatto risalire al paradiso; adora la mangiatoia, per mezzo della quale tu, che eri privo di ragione, fosti nutrito dal Logos. Conosci, come il bue, Colui che è il tuo padrone: questa è l’esortazione di Isaia; conosci, come l’asino, la mangiatoia del tuo Signore, sia che tu sia uno dei puri e di quelli che sono sotto la legge e di quelli che ruminano la parola e che sono adatti al sacrificio, sia che tu sia uno di quelli che sono ancora impuri e che non sono adatti ad essere mangiati e ad essere sacrificati, e appartengono alla parte dei pagani. Corri insieme con la stella, reca i doni insieme con i Magi, l’oro, l’incenso e la mirra a Colui che è il Re ed è Dio, ed è morto per causa tua. Glorificalo con i pastori, cantalo con gli angeli, intreccia cori con gli arcangeli. Sia comune la festa alle potenze celesti e a quelle terrene”.
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